mercoledì 24 aprile 2013

Come generazioni di mafiosi si infiltrano in Lombardia

Linkiesta ha potuto pubblicare integralmente le motivazioni della sentenza con cui il gup del Tribunale di Milano, Roberto Arnaldi, il novembre scorso ha condannato in primo grado con rito abbreviato 110 persone ritenute organiche alla 'ndrangheta in Lombardia. 905 pagine per motivare le 110 condanne scaturite dal maxi-processo, iniziato dopo gli arresti del luglio 2010 che hanno scosso i cittadini lombardi e riportato la mafia al centro dibattito politico per qualche mese, sollevando molte polemiche.

Non è sicuramente questa sentenza che certifica la presenza della mafia in Lombardia come erroneamente scritto da qualcuno in questi mesi. Questo lavoro è già stato svolto dai tribunali milanesi nei primi anni '90, in particolare con la sentenza del processo "Nord-Sud" e con altre indagini come "la notte dei fiori di San Vito" e altre ancora svolte fin dagli anni '80 da magistrati come Alberto Nobili.

Tuttavia questa sentenza riveste una certa importanza e restituisce una fotografia della situazione e delle trasformazione della criminalità organizzata calabrese in Lombardia. Un quadro sicuramente complesso quello dell'organigramma e dei rapporti di potere tra la "casa madre" in Calabria e le cellule lombarde, che il gup di Milano descrive così: «Qui la 'ndrangheta si è radicata, divenendo col tempo un'associazione dotata di un certo grado di indipendenza dalla "casa madre", con la quale, però, continua ad intrattenere rapporti molto stretti». Più avanti, prosegue di nuovo Arnaldi nella sentenza, «nonostante tale stretto rapporto con la Calabria, i membri "lombardi" delle 'ndrine sono da lungo tempo radicati al nord, dove risiedono stabilmente e ciò ha consentito una perfetta conoscenza del territorio e delle persone con cui gli stessi hanno rapporti», a oggi si può considerare l'associazione 'ndranghetista in Lombardia «un'autonoma associazione composta da soggetti ormai da almeno due (in alcuni casi tre) generazioni presenti sul territorio lombardo - il che spiega anche la presenza di soggetti non di origine calabrese - , che commettono in Lombardia reati rientranti nel programma criminoso, che compiono delitti e atti intimidatori sul territorio del distretto, i quali a loro volta generano assoggettamento e omertà».

Sta qui l'essenza di una 'ndrangheta radicata sul territorio e in stretto contatto con la comunità locale e in particolare con la politica locale e colletti bianchi che rivestono ruoli chiave. Non è un caso se nelle motivazioni il gup Arnaldi richiama questi contatti. «Nel corso delle indagini, era emerso che Barranca Cosimo (capo della cellula locale di Milano, ndr) aveva avuto specifici contatti anche con personaggi che rivestivano particolare importanza nel campo politico nazionale, regionale ed anche locale. Ci si riferisce in particolare ai contatti avuti con Figliomeni Alessandro (a sua volta arrestato con l'accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso, ndr), Sindaco del Comune di Siderno, con il sottosegretario alla Regione Lombardia Giammario, non direttamente, ma per il tramite di Chiriaco Carlo Antonio (ex direttore dell'Al di Pavia, giudicato nel processo in corso con rito ordinario, ndr), con Pilello Pietro (commercialista con incarichi in società pubbliche. Non è indagato, ndr) per il tramite di Neri Giuseppe Antonio (presunto capo della locale di Pavia, anch'egli a processo nel rito ordinario in corso nelle aule bunker milanesi, ndr)».

Seconde e terze generazioni ben radicate nei contesti locali, una sorta di "quinta mafia" tra amministratori locali, professionisti e politici, che danno linfa alla criminalità organizzata dagli uffici e la difficoltà a punire questi ultimi anche a causa di una regolamentazione applicabile contro la corruzione e in particolare il "traffico di influenze".

La certezza è che il fenomeno non si è esaurito, e che nemmeno questa operazione che ha cercato di classificare le singole cellule criminali della 'ndrangheta lombarda, nonostante le centinaia di arresti, abbia inferto un colpo mortale alle cosche. Ma questo lo dicono anche i pm che hanno portato avanti il processo e che la sentenza cita «le indagini hanno consentito di accertare che in Lombardia sono operative le seguenti locali: Milano, Cormano, Bollate, Bresso, Corsico, Legnano, Limbiate, Solaro, Piotello, Rho, Pavia, Canzo, Mariano Comense, Erba, Desio e Seregno, che sono appunto quelle descritte nel predetto capo di imputazione. Peraltro, lo stesso Pubblico Ministero precisa che questo dato è certamente indicativo per difetto, e che sono sicuramente presenti altre locali».


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